Sistemazione dell’area Duchi
Sestrière, (Torino). 1994
Paolo Zermani.
Con Eva Grosso, Roberto Musiari, Fabrizio Rossi Prodi, Paola Urangi.
Collaboratori: Fabio Capanni, Alessandro Cattaneo.
Le Alpi. Un luogo fortemente apocrifo, Sestrière, località alpina surreale.
Alcune cartoline anteriori al 1936, anno in cui Giovanni Agnelli decide di farne il luogo di vacanza della Fiat, mostrano solo un armento, un pascolo. Poi improvvisamente ecco le torri dell'ingegnere Mattè Trucco, alte, con scale elicoidali, fuori scala. Le cartoline successive rilevano il contrasto, l'anomalia del rapporto tra le torri e l'edilizia alpina, tanto che il pittore (è una cartolina dipinta) esaspera i paradossi dimensionali perché le torri sono il nuovo.
A duemila metri di quota Sestrière è ancora così, irreale, e le torri sono parte fondamentale ormai, e non disprezzabile, del paesaggio. Permane il loro effetto di straniamento, accentuato dai sei mesi almeno di neve che qui staziona, dalla luce accecante. Hanno plausibilità proprio come apparizione, nella loro assurdità dimensionale, nella loro stranezza tipologica. Quindici, venti piani si sovrappongono nei loro interni, scalano le vette dell'ingegneria di inizio secolo, la fiducia e l'eroismo delle spedizioni, la propensione dell'uomo a conquistare l'altezza continuando le corse elicoidali delle piste di prova, la rotazione del Lingotto che Mattè Trucco aveva progettato a Torino. Era allora questo il rapporto con il paesaggio, misurato da una fiducia macchinistica o dalla non ancora intaccata vocazione dell'uomo a scalare, a guardare solo avanti, prima di rivolgersi indietro.
Le torri sono la cosa migliore di Sestrière insieme alle Alpi: vi stabiliscono una misura surreale ormai acquisita.
L'ordine della natura e l'ordine dell'architettura, la "natura naturata" e la "natura artificiata" possono forse trovare un punto d'equilibrio.
Il progetto si riferisce esplicitamente alla natura alpina e ne assume una astratta continuità.
Sarà così nelle diverse stagioni: un insieme di prismi cristallini, una colata di ghiaccio, nella stagione invernale, una giacitura minerale prosciugata e petrosa nella stagione calda, residuo di un fenomeno naturale giunto qui, rotolato quasi, o affiorato.
Ma i cristalli, le pietre dure, trovano un loro ordine interno che le fa apparire dall'alto, dalle strade d'arrivo,
dalle vette o anche dalla vista più prossima, dal terrazzo della grande torre, quasi disposte sulla traccia d'impianto di un paese alpino esistito: la strada al centro, come una spina, qualche slargo irregolare, le case che affluiscono, che aggettano sui lati. L'ordine dell'uomo si fonde con l'ordine delle cose. La spina, quasi una spina ossea di preistorica stratificazione, è una Galleria popolata di astratti pilastri-colonne-tronchi d'albero, un bosco di conifere artificiale basso su cui s'aprono a intervalli le prepotenti viste della montagna, un letto di fiume incavato tra le rocce quale Turner ci ha raccontato nelle sue visioni alpine.
Conifere vere e viventi, a centinaia, sono messe a dimora vicino, poco oltre le case, ed affluiscono in mezzo ad essa.
Il percorso è giunto a compimento.
Elemento centrale della proposta è il rapporto tra un forte espressionismo figurativo, reso concreto a partire da un principio d'insediamento posto sulla soglia tra naturale e artificiale, e una chiara razionalità costruttiva che rifiuta ogni forma di mimetismo affidandosi al ripetersi, all'alternarsi, al combinarsi di un cubo di dimensione tredici per tredici metri.
Ecco dunque un nuovo luogo di Sestrière che ne rileva il carattere di luogo naturale e artificiale e si stabilisce come frammento di relazione tra essi.
Da una parte il grande scenario delle Alpi, dall'altra una astratta configurazione quasi inafferrabile, fortemente irreale, in cui la scala dimensionale della percezione è data dal fuori scala delle due grandi torri.
Torri rotonde altissime, che si avvitano anche all'interno in elicoidali salite quasi volessero stabilire unicamente rapporto con la colossale dimensione dell'Alpe. Torri rotonde, come riassuntive in alcuni punti, sull'estremità del colle, delle curve di livello che regolano, censiscono, misurano il paesaggio.
Il progetto dell'area Duchi, che è posta lì, a metà tra le torri e il paesaggio, tra l'affluire e il rifluire dello spazio paesaggistico sul colle di Sestrière, ferma come un fotogramma questo movimento tra natura e opera dell'uomo. Il progetto si avvita verso le Torri. Il progetto fluisce dalle torri verso il grande teatro della montagna. Nel rapporto con le Torri, ma anche rispetto all'edilizia costruita sui margini della proprietà, i blocchi tredici per tredici di progetto sono dimensionalmente molto piccoli: rispettano così la forza dimensionale delle Torri, e dichiarano la propria appartenenza viva al paesaggio, costituendosi come grande evento solo nella aggregazione dei frammenti.
E' la stessa scala degli insediamenti alpini tradizionali. Il tema della duplicità della scala di lettura, quello dei piccoli cubi e quella dell'insieme dell'intervento, ribadisce nel paesaggio la legge insediativa consolidata.
Luogo di pionieristica modernità è Sestrière.
Qui il Moderno stabilisce l'ordine imprevisto di lettura: prima o poi dovevamo imbatterci nella sua archeologia e sembra che egli abbia scelto il contesto più spericolato, lo scenario più potente e inimitabile.
I blocchi di pietra, come lavorati dalla cava, tagliati, razionali, astratti, costringono a una immaginata serialità la differenza della natura, poi negata nella scelta insediativa.
I cristalli e le pietre lungamente osservati per progettare questa architettura hanno struttura generalmente più complessa rispetto alla sintetica definizione del cubo, caratteristica propria soltanto di alcuni tra essi. Ma costruire attraverso il cubo un nuovo rapporto con la natura è stata una scelta chiara, dettata dalla volontà di confronto con un Moderno eroico e assoluto, con la sua artificiale e ingenua volontà di rappresentazione.
I cubi poi, immediatamente, tornano a rifluire nell'ordine complesso della natura, non solo come traccia sedimentale di un insediamento tradizionale, ma anche come corpi nel letto di un fiume alimentato dallo sciogliersi del ghiacciaio.