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Museo delle memorie cimiteriali e Famedio, Cimitero monumentale di Torino.

 

Torino. 1989

Paolo Zermani.
Con Maria Cristina Curti e Stefano Malvenuti. Collaboratore: Marco Longinotti.

Nel Cimitero di Torino, ai margini tra il cimitero monumentale e la sua espansione recente, affidata a lunghe stecche prefabbricate, il nuovo Museo e Famedio doveva occupare un'area grande circa cento metri per cinquanta, collocandosi su una linea di giunzione quasi impossibile, tra due realtà assolutamente diverse e contrapposte.
Il progetto offre risposta unitaria, dal punto di vista dell'idea architettonica, e differenziata, dal punto di vista distributivo, alla richiesta di un luogo che riunisse il tema del Famedio per la sepoltura degli uomini illustri e quello del Museo delle memorie cimiteriali.
L'inserimento, nell'area a ciò destinata, del Cimitero di Torino, avviene attraverso la soluzione di un grande basamento gradonato, internamente fruibile, che occupa interamente il campo ed assume autonomia spaziale dichiarata rispetto alle diverse direzionalità dovute ai successivi accrescimenti del cimitero.
Il basamento abitato custodisce, nelle tre navate in cui è suddiviso al fine di indurre un uso longitudinale dello spazio interno, tre diversi momenti di celebrazione collettiva o individuale del rapporto con la morte e con il ricordo, identificabili nel Museo delle memorie posto su un lato, nel Famedio sul lato opposto e nella strada a cielo aperto al centro.
La strada-navata centrale, afferente piccole corti-cappelle via via rincorrentisi, divide e unisce spazialmente le navate laterali del Museo e dei Sepolcri, affacciando su di esse in piena luce attraverso pareti vetrate cui è affidata l'illuminazione.
La navata ospitante il Famedio di sepoltura degli uomini illustri distribuisce verso l'esterno i luoghi per la tumulazione delle salme e verso la strada interna, racchiuse in piccole cellette all'interno delle corti, gli ossari.
La navata ospitante il Museo delle memorie cimiteriali distribuisce verso l'esterno uno spazio di esposizione continua e verso la strada interna, nelle corti, una serie di spazi espositivi privilegiati dotati di una più raccolta condizione d'autonomia. Questa navata ospita infine, all'interno dell'ultima corte, una scala di risalita verso il piano di copertura dell'edificio, percorribile.
Da esso, sarà possibile osservare l'intera dimensione visuale del cimitero, scorgere la città dei vivi e avvicinarsi, di qualche metro, al cielo.
Il basamento è in effetti la parte costitutiva del tempio che innalza verso la Divinità.
Ma, contemporaneamente, questo basamento torinese è un grande tumulo, abitato al proprio interno. Il tumulo è l'architettura con cui l'uomo si avvicina al Cielo attraverso la terra, la più alta espressione del rapporto tra l'uomo e architettura.
Questo tumulo e questo basamento sono il segno che la città alza al mistero della vita e della morte, cioè alla continuità della vita. Una edificazione grandiosa della morte, attraverso l'architettura, avveniva nelle piramidi egizie: parti di esse, dei contenuti vitali e delle cose, sono migrate quasi inspiegabilmente proprio qui, nel Museo Egizio di Torino.
Un patrimonio di frammenti traslato fino al centro di una capitale europea.
Il basamento-tumulo abitato dai morti ripete l'esercizio dell'architettura delle Piramidi, ma è una architettura italiana. Beato Angelico ha fissato la transizione tra vita e morte, nel proprio Giudizio Universale, nel momento in cui le tombe si scoperchiano, in cui nel tumulo arriva la luce. Il valore estremo universale del giudizio finale è concentrato in quel manufatto posto tra suolo e sottosuolo.
Il manufatto non è basamento ne tumulo: è l'uno e l'altro. E il paesaggio, nella pittura dell'Angelico, è come sempre un paesaggio italiano. La luce irrompe sulla piattaforma, non c'è tenebra nel sepolcro. Nel basamento di Torino ugualmente abita la luce, nel tumulo rinasce la vita.
C'è chi ha parlato della strada aperta interna come di una spina dorsale, seminata a trifoglio, sul fondale delle piramidi alpine.

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