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Progetto per “La città della scuola”

Sarno (Salerno). 2000

Paolo Zermani.
Con Filippo Bocchialini, Filippo Bricolo, Lucio Serpagli, Antonio Maria Tedeschi.
Collaboratrice: Giovanna Maini.

L'asse principale del Foro di Pompei guardava allora come oggi il Vesuvio.
Ma prima del ‘79 dopo Cristo, anno dell’eruzione, probabilmente la sommità del Vesuvio era composta. L’attenzione dei pompeiani era più propriamente rivolta al mare, che lambiva la città non ancora cumulatasi dai depositi alluvionali del Sarno e dai materiali vulcanici depositati a seguito dell’attività eruttiva. Solo la letteratura posteriore ci tramanda la potenza distruttiva del vulcano.
Le stampe e le incisioni accompagneranno da allora all’Ottocento la descrizione della inquietante sagoma sbrecciata e colorata dai lapilli, mostrando l’orrore delle lingue di fuoco, poi piano piano pennacchio di fumo.
Il monte aveva tuttavia costituito lo sfondo, cui si accedeva dalla Porta Vesuviana, per il Capitolium.
L’osservazione e la misura delle rovine costituisce, per il paesaggio campano, un esercizio così fondamentale da far osservare ancora negli anni Cinquanta a Guido Piovene, durante il suo “Viaggio in Italia”: " … v'è una maniera di parlare dei ruderi che si trova soltanto qui. Grandi rovine esistono in altre parti dell’Italia e del mondo, ma l’andare per rovine a Napoli è qualcosa di unico, che non trova riscontro né a Roma né in Provenza: lo si fa senza uscire dal mondo d’oggi, talvolta con lo stesso spirito con cui si entra nei negozi a fare la spesa. Perciò le zone archeologiche del Napoletano hanno una luce soggettiva, confidenziale, che le rende senza confronto...."
Calata nel cuore del viaggio in cui Piovene incontra contemporaneamente gli ultimi residui di una civiltà romantica e precisa, volta a un disegno di civiltà, e all’opposto i segni del miracolo economico dell’Italia ricostruita, che anticipa la degradazione odierna, la considerazione del grande scrittore guarda indietro per vedere avanti.
Oggi l’identità residua possibile dì una città e della sua regione, di cui Sarno è parte integrante per quella sua contiguità vesuviana, città deformata come altre dalle azioni del secolo che si è chiuso, è ancora da rinvenire in quel sottile bilico che lega il suolo al sottosuolo, all’esistenza del fiume, alla vista lontana, temporaneamente pacata, del Vesuvio.
La trasmigrazione tra interno ed esterno della superficie terrestre si compie, non a caso, in una duplice scoperta che confluisce dall’archeologia alla natura e viceversa, dalle misure rilevabili degli antichi impianti fino alla eruzione dell’energia della terra.
Città e misure di questo enclave in equilibrio precario, ma consapevole, da Pompei, a Stabia, ad Ercolano, ai fumi di Pozzuoli, hanno attraversato l’Europa nei disegni e nelle parole, trasferendo l’epica di un habitat sospeso e ardito che rimane, paradossalmente, nonostante ciò che è stato aggiunto, come l’unico riferimento qui possibile.
La Città della Scuola di Sarno, proprio perché luogo didattico e del pensiero, oltreché luogo urbano che si vuole nuovo e privilegiato, riassume le forme e gli spazi di quella sospesa combinazione tra misura e natura, impiantandosi nelle dimensioni del lotto previste, assumendone la perimetrazione, forzandone i contenuti fino al ricongiungimento con un percorso di durata e di pensiero.
Gli elementi di misura si costituiscono attraverso un reticolo di 33 x 33 metri lineari (quasi archeologico) che rappresenta la traccia o matrice su cui si dispone la sequenza degli spazi e degli edifici.
Gli elementi di natura si riconoscono nell’acqua del fiume, che attraversa la nuova cittadella e nel Vesuvio, fuoco prospettico. Il sito, compreso da una parte tra la città perimetrata dal grande insediamento della fabbrica Buchy e dalla ferrovia, dal paesaggio aperto e dalla autostrada dall’altra, guarda, verso nord, proprio alla cornice di alture di cui il Vesuvio segna l’orizzonte.
Il fiume, ora Rio Palazzo, lo attraversa e ne riaccompagna il rito di fondazione, in un luogo in cui il fiume Sarno ha rappresentato oggetto di divinità per Sarno, Pompei, Ercolano.
I due settori di intervento sono tenuti insieme da un grande percorso coperto, verso l’interno e verso l’esterno, che si sviluppa parallelamente al lato maggiore del sito e guarda ancora verso il vulcano. Questa grande passeggiata unisce i due lembi del progetto e ne stabilisce il rapporto con il paesaggio.
L’impianto viene disposto parallelamente all’abitato, alla città, all’autostrada, ma si compone in una forma autonoma, che cerca un raccordo non solo strutturale e viabilistico.
Il sistema distributivo e funzionale così ripulito si configura attraverso una sequenza di piazze, campi in erba ed edifici comprendente, da Sud a Nord, le tre scuole, la palestra e la biblioteca, gli spazi di relazione.
Le scuole sono organizzate attraverso tre blocchi quadrati, distribuiti su due piani, oltre un piano seminterrato destinato ai laboratori.
La biblioteca e la palestra sono poste in relazione frontale con le scuole, ne mediano e ne completano il sistema, hanno dimensione maggiore e tra loro analoga.
L’Auditorium è invece collocato nella testata posta oltre l’edificazione esistente ed il Rio Palazzo, verso Napoli, compreso in un’elica di teatri aperti su tre lati, ed ingiunge una vista sul paesaggio che può ruotare di 180°.
Dall’interno la gradinata, rivolta verso Nord, inquadra, quale scena fissa, l’intera parete trasparente che consente di vedere, in lontananza, il Vesuvio.

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